TEATRO DI POESIA / TEATRO D'AZIONE

Laboratorio trimestrale su William Shakespeare

Bologna, Casavuota, marzo-maggio 2017

Il laboratorio propone un teatro fisico, agito, che sappia dare corpo alla poesia del testo. Affrontando alcune scene dell'opera di Shakespeare sia in italiano che in lingua originale, ci confronteremo con l'unione unica di poesia e azione del drammaturgo inglese.

Diretto da Alessandro Berti

Shakespeare è un autore pazzesco: sa unire poesia sublime a capacità dialogica, cioè messa in scena verosimile di un conflitto. L'azione del personaggio, minacciata, attuata, ricordata, è al centro di tutto. Lavorare sui suoi testi, in continuo movimento tra parola e azione, pieni di conflittualità latenti o esplose, è un ottimo esercizio per un'attrice o un attore. Naturalmente ammettere di essere animali conflittuali, inquieti, irrisolti, come sono i personaggi di Shakespeare, è liberatorio anche per chi teatro non lo fa di mestiere. Ma questa liberazione ha luogo sulla scena in versi sciolti, in poesia. Il verso argina la violenza che anima il testo. Non è possibile scindere il senso di una frase dal suo ritmo, e anche questa è una grande lezione. Lavoreremo dunque in parallelo su buone versioni italiane di Shakespeare (anzi: ce ne scriveremo delle nostre) e sull'originale.

Alessandro Berti, scrittore, regista e attore teatrale, affianca da anni al lavoro scenico un percorso di formazione aperto, rivolto a professionisti e non. Diplomatosi alla scuola del Teatro di Genova negli anni '90, dal 2002 al 2005 ha diretto a la Scuola Popolare di Teatro a Udine, collaborato ai progetti di formazione del Teatro Due di Parma (2010-13) e del festival I TEATRI DEL SACRO (2013). Attualmente dirige la sezione teatro/adulti dell'Accademia Antoniana a Bologna. Tra i suoi ultimi lavori teatrali ricordiamo L'abbandono (2009), Combattimento spirituale davanti a una cucina ikea (2011), Un cristiano (2014), Fermarsi (2016). E' traduttore dall'inglese e dal tedesco.

CORSO ANNUALE DI TEATRO, Bologna, novembre-maggio 2016

Ricomincia il corso annuale di teatro all'Aula 6 del Teatro Antoniano, a Bologna.
Tutti i venerdì dalle 19 alle 22. 
Inizio: venerdì 18 novembre 2016 ore 19.
Una lezione di prova gratuita. 
Info: alessandroberti.mail@gmail.com

TEATRO, DANZA. Piccola introduzione a una pedagogia del corpo

Il lavoro di formazione che propongo unisce forti suggestioni di contenuto verbale (brevi frasi tratte da opere di mistiche e mistici) a un lungo lavoro successivo che quelle suggestioni interpreta e svolge. Il lavoro è prevalentemente fisico. Dal punto di vista di una definizione puramente catalogativa, la prassi espressiva reale dei corpi al lavoro, nei miei laboratori, si potrebbe definire un teatro-danza. Appena l'ho proposta tuttavia, questa definizione mi appare molto generica. Il corpo si muove, e si muove non secondo strategie feriali, di comunicazione realistica. Dunque, forse basterebbe dire: il corpo danza. Ma anche la danza, che ha un codice, è in realtà in molti casi un punto di arrivo che si fa, o che s'è già fatta, stile. Dunque nemmeno di questo si può ancora propriamente parlare. Sospendiamo per ora il tentativo di una definizione sintetica della nostra ricerca sul movimento e proviamo invece a delinearne alcune caratteristiche generali.
Il lavoro tende, a grandi linee, a invertire la polarità energetica quotidiana che vede la parte alta del corpo gravata di una quantità di stimoli di ogni sorta. Per prima cosa dunque, attraverso una serie di esercizi, si riscalderà la parte bassa del corpo favorendo uno svuotamento di testa e tronco a favore di un'irrorazione e di una stimolazione delle anche, delle gambe e dei piedi. Poi toccherà alle braccia: in esercizi specifici si riattiveranno, contemporaneamente, i quattro arti: le due braccia (e mani) e le due gambe (e piedi), che cercheremo di chiamare in causa in modo che il tronco, negli spostamenti, sia un centro il più possibile inerte (o più propriamente: un centro appoggiato, sostenuto). Dopo questo lungo riscaldamento muscolare sposteremo l'attenzione sul piano osseo. Come dico ora: le ossa sono il vostro coreografo. Attraverso varie visualizzazioni stimoleremo un esordio del movimento a partire da punti specifici d'articolazione, corrispondenti a altrettante giunture osteoarticolari.
Questo momento propedeutico, questo riscaldamento, se volete, non è null'altro che una proposta minima di attivazione del nostro aggregato, un esordio di movimento profondo, sul quale poi costruire un percorso il più possibile personale, legato alla qualità dell'attenzione propriocettiva di ognuna e ognuno. Per favorire ulteriormente questo percorso, oltre a indicazioni puramente fisiche, entreranno anche stimolazioni verbali.
Brandelli di resoconti d'esperienza mistica come la frase l'anima nuota nel mare della gioia di Marguerite Porete assomigliano a immagini come quella di Kazuo Ohno quando propone di improvvisare sulla frase l'anima cola giù, l'anima imbeve la terra. Sono suggestioni di questo tipo, koan sintetici da interpretare fisicamente, che proseguono le proposte iniziali di tipo meramente fisico.
Io ultimamente accompagno la ricerca delle allieve e degli allievi dipingendo con rudi pennelli da imbianchino alcune di queste frasi o altre, ancora più sintetiche, sopra grandi fogli di carta da pacco, assieme a alcune immagini, disegni, simboli, la cui importanza, o allusività, emergono naturalmente dal lavoro. In poco tempo la sala prove si riempie di questi cartelli/segnaletica a cui si può, se si vuole, ritornare al bisogno.
A seconda della via che l'allieva/o prenderà, la mia funzione sarà quella, sperabilmente maieutica, di verificare assieme a lei/lui la veracità della sua presenza nel tempo e nello spazio, di volta in volta stimolando discretamente l'ipomobilità esasperata frutto di un blocco, o richiamando un' iperespressività a momenti di ulteriore ricentratura e propriocezione. Il fine di questo lavoro non è il raggiungimento di uno stile uniforme ma, al contrario, la ricerca di un'azione verace del corpo in questione, azione quindi unica e personale. Paradossalmente, questo lavoro può anche essere visto come una propedeutica alla codificazione, invece che (o oltre che) un punto d'arrivo espressivo di corpi già abituati a un codice fisico.
In ogni caso, l'elemento fondante riguarda il nuovo che ancora può emergere all'interno dell'abitudine fisica. Per fare spazio a questo nuovo, cioè a quanto di non usato c'è ancora in noi, schiacciato da tutto l'abusato che lo fascia, occorre molta pazienza, attenzione, e fiducia nel vuoto, nel sunyata, luogo fondante di molta arte e spiritualità orientali. Che il nuovo si trovi a partire da un vuoto è intuitivo. Cercheremo di capire quali sono le condizioni, per ognuna e per ognuno diverse, nelle quali questo vuoto propriamente ha luogo, può aver luogo. L'accadere di questi momenti di vacuità è invariabile, indipendentemente dal livello di coscienza e esperienza delle persone che intraprendono il lavoro. La radicalità, a cui le frasi e le immagini verbali che usiamo nel lavoro allude, serve proprio a delocalizzarci dalla nostra immagine feriale, conosciuta, mettendoci immediatamente in un terreno altro d'esperienza, un terreno deliberatamente esagerato, in cui la realtà viene, per così dire, ipergustata, chiedendoci così di tradurre in un segno fisico credibile questo brandello di unione, di più o meno fugace intuizione vitale.
Come si sarà forse evinto, il mio lavoro è su un soggetto singolo alla volta, sul suo percorso espressivo, ma direi meglio: de-espressivo, di svuotamento kenotico e deliberato. Tuttavia, proprio per questa centratura sul corpo singolo, il gruppo risulta fondamentale a equilibrare il lavoro, a renderlo possibile, ad assorbire i momenti di stanchezza. Una parte importante del lavoro riguarda un'educazione allo sguardo dei tentativi altrui. Si deve imparare non il giudizio del limite ma l'intuizione di quale possa essere il passo successivo, per uscire dal limite. Questo s'impara guardando gli altri, poi trasferendo questo sguardo su di sé. In fondo, quello che ci aiutiamo a fare, è frantumare il dolore danzandolo, secondo la definizione di Roberta Carreri. Quando questo livello di frantumazione ha raggiunto una certa dose di pervasività possiamo forse diventare anche oggetto di sguardo per qualcun'altro. Ma il lavoro in sala prove non arriva fin qua, perché concepire il piano performativo non come qualcosa di diverso dalla piena presenza ma come il semplice spiare la piena presenza di qualcuno da parte di qualcun'altro, tutto questo richiede molti anni di lavoro, e non solo in sala prove. 
Alessandro Berti

NUOTARE DENTRO IL MARE DELLA GIOIA

Laboratorio annuale, Fognano (RA), 18-22 luglio 2016

Quest'anno era l'unico laboratorio, il nostro, che la Federgat proponeva ai tanti e alle tante associate che ogni anno vengono a Fognano per la consueta settimana di formazione. Così avevamo tutto per noi il grande Istituto Emiliani, un luogo fuori dal tempo, dove si lavora con intensità. Come da qualche anno mi capita, anche in questa occasione ho proposto di lavorare sul Miroir di Marguerite Porete. Le allieve e gli allievi sono stati straordinarie/i (trattandosi di mistica femminile dobbiamo invertire la priorità abituale di genere). Abbiamo lavorato le mattine, con intensità. La sorpresa di un lavoro solo a mezza giornata ha presto lasciato il posto alla fatica e alla comprensione della funzionalità della compattezza d'orario. Man mano che emergevano questioni, definizioni, vie di lavoro, io dipingevo cartelloni con su scritte certe parole chiave, che il lavoro portava a galla. Per mantenere un certo silenzio, un'attenzione solo ai concetti che ci guidano. Abbiamo lavorato quasi solo col corpo. Partire col corpo significa, talvolta, stare sul corpo per una settimana, come è successo a noi, tanto il corpo resisteva, o, a tratti, esplodeva o, infine, si trasfigurava e cominciava e esser strumento. In ogni caso ci ha ipnotizzato, questo corpo, lungamente. Il corpo è veramente prigionero, oggi, da noi. Grida per dire altro, per scomporsi. Abbiamo speso lunghe ore in tutto questo, nei giorni. Prima di tutto riattivando la parte bassa del corpo: l'hara, il manipura, il dantian basso, come in Oriente, variamente, si dice. E poi i piedi e le gambe, fino alle anche, dando un po' di sollievo alla schiena, stracaricata ferialmente e qui invece liberata, finalmente, in una festa che ha formato acido lattico in basso, e ha disteso molte fasce lassù in alto. 
Alla fine del lavoro, meravigliosa ciliegina, ci è venuta a trovare Antonella Lumini, eremita metropolitana (è appena uscito, per Einaudi, il suo libro, LA CUSTODE DEL SILENZIO http://www.einaudi.it/libri/libro/antonella-lumini-paolo-rodari/la-custode-del-silenzio/978880622363). Abbiamo fatto un po' di meditazione silenziosa assieme a lei, poi ci ha parlato del suo percorso. Una piccola folla di amici, da Bologna (Tihana Maravic, Alessandro Bedosti), da Forlì (Michele Pascarella) e da altri luoghi romagnoli è venuta ad ascoltare questa splendida figura di contemplativa, che ci ha donato due ore di saggezza acquisita, di pace, che poi ci siamo tutte/i portate/i a casa.
Alessandro Berti

NUOTARE DENTRO IL MARE DELLA GIOIA

laboratorio intensivo breve su teatro e mistica
diretto da Alessandro Berti

Oratorio di Oliveto (BO), 23-24 luglio 2016

Il lavoro riguarderà alcune frasi dai primi 9 capitoli dello Specchio delle anime semplici di Marguerite Porete. Lavoreremo sul corpo, come strumento di libertà che più che muoversi è mosso; sulla voce suonata: non cantata, non voluta, ma lasciata suonare; sulla parola, non strangolata dalle intenzioni ma detta semplicemente, così che chi ascolta possa gustarla.
Affiancheremo al testo della Porete un testo teorico della sua massima studiosa italiana, e forse mondiale: Luisa Muraro. Alle allieve/i verrà spedito infatti come sussidio il suo articolo Una dottrina di frontiera (1991). Verrà spedito anche il testo della Porete, con le parti che si chiede di imparare a memoria.
La giornata di lavoro quotidiano sarà dalle 11 alle 19, con intervalli. L'Oratorio dispone di una cucina e di una decina di letti, per chi vuole fermarsi la sera del sabato.
Il costo del laboratorio è di 150 euro.
Iscrizioni entro il 16 luglio.
Il laboratorio è aperto a un numero massimo di 10 allieve/i. 
Per informazioni sul luogo: caterinabombarda@yahoo.it
Per informazioni sul lavoro: alessandroberti.mail@gmail.com

NUOTARE DENTRO IL MARE DELLA GIOIA

laboratorio stagionale di teatro e spiritualità

diretto da alessandro berti

Bologna, Accademia Antoniana, Aula 6
, gennaio-maggio 2016

La frase che dà il titolo al laboratorio è di Marguerite Porete, una mistica francese del XIV secolo. Dice bene l'abbandono a una corrente, la disponibilità dello strumento a suonare. Così anche il corpo, la mente, il cuore di chi è in scena sono capaci di vibrare, di svuotarsi, d'esser strumenti a servizio del testo e del gesto, a cui si vuole dare voce e forma.
Il lavoro riguarderà la parola: impareremo dei testi, ascolteremo le inflessioni, le accentuazioni involontarie, i toni e i timbri di ognuno e di ognuna, nell'intento di arrivare alla massima efficienza e strumentalità possibile del nostro parlato.
Il lavoro riguarderà il corpo: nel vuoto spazio attorno irradieremo, a partire dal centro fisico del corpo, la nostra espressività non verbale, scomponendo il più possibile il nostro aggregato osteo-muscolare, così da renderlo più graduato del solito.
Il lavoro riguarderà il suono: ponendo attenzione al transito del respiro, e in particolare al momento di trasformazione del fiato in suono, cercheremo di individuare una serie di posizioni utili a dar vita a un suono più integrale, personale, naturale.
Il materiale testuale che ci farà da guida saranno testi di autori spirituali, anzi soprattutto di autrici: Marguerite Porete, Angela da Foligno, Hadewijch, Caterina da Bologna, Mechtild di Magdeburg, Julian di Norwich ma anche il libro biblico di Giobbe, il Sacrum Commercium con Madonna Povertà, fino a grandi voci novecentesche come Etty Hillesum.


Non sarà dunque solo un laboratorio di teatro ma anche un percorso di confronto con voci forti, che ci parlano di un modo di vivere più semplice, più unito, più attento.

INIZIO CORSO: venerdì 8 gennaio 2016

LEZIONI DI PROVA: 11 e 18 dicembre 2015
DURATA: gennaio-maggio 2016


INFORMAZIONI
Segreteria Corsi Antoniano – Via Guinizelli, 13
Tutti i giorni dal lunedì al venerdì dalle 14.30 alle 19.30
Tel. 051 3940238
3395381436
e-mail: segreteriacorsi@antoniano.it
katia@antoniano.it


NUOTARE DENTRO IL MARE DELLA GIOIA

laboratorio teatrale sullo specchio delle anime semplici di marguerite porete

diretto da alessandro berti

Forlì, Sala San Luigi, 28, 29 e 30 marzo 2014

Nuotare dentro il mare della gioia è una frase dello Specchio delle Anime Semplici, il trattato spirituale del XIII secolo attribuito da Romana Guarnieri alla beghina Marguerite Porete. Ma frasi come questa, straripanti di passione e poesia, le possiamo trovare nelle opere di altre figure spirituali coeve: Hadewijch, Mechtild von Magdeburg, la nostra Angela da Foligno. Questa mistica peculiare è arrivata fino a noi in virtù della sua stessa forza, e non per diritto, che queste donne si sono invero dovute conquistare a fatica e spesso con costi personali altissimi. Oggi questo corpus viene giustamente riconosciuto come la sorgente di molta spiritualità moderna e a noi contemporanei è regalata la sorpresa di testi dal contenuto eterno scritti in una lingua spesso brusca, intrattabilmente poetica e di altissima qualità sintetica.
E' proprio questa doppia qualità, spirituale e estetica, a farne un materiale dalle potenzialità anche teatrali e comunicative. E in più, come spesso accade per testi scritti da donne, queste parole sono pensate per essere dette e non lette, anzi addirittura recitate e cantate. E non è nella lingua scientifica e liturgica dell'epoca, il latino, che sono scritte ma in lingua materna, cioè, in questi casi, il volgare umbro, il brabantino, il francese, il medioalto tedesco. Tutto insomma va nella direzione di un loro uso, anche oggi, pubblico e, pur in un senso molto distante da quello odierno, spettacolare.
Proprio però per non correre il rischio di un appiattimento e di una riproposta superficiale di questi materiali così preziosi, abbiamo scelto di lavorarvi con calma, attraverso una serie di laboratori stagionali, di città in città, in un percorso di ricerca articolato che ha in sé elementi teatrali pratici (esercizi fisici e vocali, lavoro tecnico sulla recitazione), teorici (analisi del testo, lettura dei commenti), spirituali (interrogazione, sulla base dell'esperienza che trasuda da questi testi di donne, del senso che diamo al sacro e della capacità che ha questo senso di nutrire, o meno, le nostre biografie).
Il prossimo laboratorio pratico si svolgerà a Forlì (nel weekend dal 28 al 30 marzo 2014).
All'interno del lavoro le diverse aree di ricerca si succederanno e intersecheranno.
Prima di tutto, e per la gran parte del tempo, il vero e proprio lavoro pratico teatrale, che si rivolge principalmente a persone che hanno il desiderio di mettersi alla prova in un percorso rigoroso di approfondimento del linguaggio scenico e che comprende: a) elementi di interpretazione del testo; b) elementi di tecnica comunicativa di base (mnemotecnica, analisi della frase, accentuazione); c) osservazione e studio della propria voce suonata e cantata; d) lavoro sul corpo come strumento danzante.
Poi, quando sarà necessario al percorso espressivo, e qualche volta lo sarà, apriremo finestre di lavoro sul testo, riprendendo le parole di Marguerite e interrogandole.

Il laboratorio è gratuito. Si richiede una lettera di presentazione e motivazione che ha il valore di una preiscrizione. Nel caso in cui le richieste siano maggiori rispetto alle possibilità di accoglienza verrà fatta una scelta che potrà prevedere anche un numero maggiore di partecipanti in qualità di uditori e testimoni. 
Iscrizioni entro il 15 marzo 2014 a pigifo@pigifo.it
Alle allieve verranno spediti i testi di riferimento entro il 18 marzo 2014.

ESSERE STRUMENTI PURI, un sentiero tra teatro e mistica


laboratorio teatrale intensivo a cura di Alessandro Berti

I Teatri del Sacro, Lucca, 10-16 giugno 2013

Il laboratorio propone una pratica teatrale che ha al centro l'attore e l'attrice, considerati non come esperti specializzati in uno stile ma come artisti motivati a diventare strumenti il più possibile puri, disponibili, efficaci.

Il laboratorio si rivolge a persone interessate a esordire o a proseguire in un lavoro teatrale, inteso non tanto, o non prima di tutto, come espressione di sé ma come ricerca, intuizione e ascolto di una forza di cui diventare strumenti, una forza da ospitare e far transitare in noi, lasciandola irradiare tutt'attorno.
Uno strumento non si esprime: suona. E' un'azione più semplice e più forte.

Il laboratorio si rivolge a chi ha desiderio di fare l'attore o l'attrice e cerca dei fondamenti credibili alla pratica, dal punto di vista concreto a partire dall'esperienza in sala prove, dal punto di vista interiore attraverso una riflessione articolata e aperta sul significato che ognuna e ognuno di noi dà a questa (non)-professione.
Questo desiderio di un'unità più coerente, anche se viva e imprendibile, tra quello in cui crediamo e le nostre pratiche può presentarsi in modo oscuro, confuso. Noi lo chiamiamo: desiderio di essere strumenti puri. Qui puro non allude a una coloritura morale ma a caratteristiche quasi fisiche, vicine al termine chiave di Meister Eckhart ledic: vuoto, pulito, cavo. Si tratterà allora di imparare, per quanto potremo, l'arte attinta da Michelangelo scultore: per via di tòrre, per mezzo del togliere.

Anche la mistica cristiana, maschile e femminile, parla di questa spoliazione, di questo denudamento, di questo deporre le armi necessario, propedeutico all'arrivo dello Spirito. Così i testi di riferimento del nostro lavoro teatrale saranno testi spirituali capaci di parlare con un linguaggio potente e preciso, anche esteticamente, di questo desiderio di purificazione (prima) e di relazione (poi). Queste fonti scritte saranno dunque, contemporaneamente, il testo di cui proveremo a farci strumenti scenici e una fonte di ispirazione interpretativa e spirituale, di cui ci nutriremo nel tempo reale del nostro dirli.
Come sono stati scritti, così anche vanno detti, ospitati, lasciati essere.

L'immagine iniziale del lavoro pratico è quella di un tronco cavo suonato dal vento.
Noi siamo quel tronco ed il respiro è il vento. Poi quel transito d'aria, ritrovato, si trasforma in qualcos'altro: un suono, una frase, un movimento. Una volta data coscienza a questo transito, a questo ascolto di quel che accade in noi, lo metteremo in relazione con gli altri, le altre, in esercizi di dialogo: vocale suonato, vocale parlato, fisico. Continuamente si farà esperienza del passaggio dal lavoro su di sé al lavoro in coppia, in gruppo, sperimentando le specificità di queste aree, in ogni caso non trasformando la ricerca in una frettolosa proposta di risultati: ci manterremo sempre all'inizio di un percorso, rimarremo deliberatamente esordienti.
Questa freschezza d'esordio sarà uno degli elementi chiave del lavoro. Chi lo propone cercherà di aiutare l'attore e l'attrice in questa disponibilità al cambiamento, in questa necessaria presenza sempre nuova, rinnovata.

Non si lavorerà sull'estenuazione delle forze. Al contrario si cercherà la precisione di un gesto attento, indirizzato, anche se proveniente da parti di noi poco ascoltate. Naturalmente questa ricerca stancherà, ma sarà una stanchezza complessiva, saporita, forse pacificante.

Oltre che dalle parole di maestri e maestre di mistica, ci faremo aiutare da quello che accadrà: dalla diversità dei corpi e delle voci. Questa vita, questo sapore specifico di ognuna e di ognuno, cercheremo di assumerlo, di approfondirlo, poi di renderlo più puro, più essenziale, più efficace.

Si lavorerà tutti i giorni dalle 10 alle 15.
Nel resto della giornata potrà venire proposta a qualche allievo o allieva una forma di partecipazione all'allestimento e alla messa in scena dello spettacolo IESUS IN TEMPLUM / un sermone di Meister Eckhart di Alessandro Berti.

Al termine del laboratorio, estratti del lavoro svolto, nella forma che sembrerà più coerente al processo, saranno mostrati all'interno dello spazio pubblico, in città. I luoghi di messa in scena di questi brevi studi teatrali saranno chiese, portici, negozi, strade e piazze. L'idea è quella di partire camminando da un punto e percorrere un tragitto a stazioni, in ognuna delle quali verrà mostrato un tassello del lavoro, in questo tragitto raccogliendo forse pubblico e pubblica curiosità. In ogni caso anche in questa giornata finale si continuerà a studiare, a osservare, né i luoghi né la successione di quanto verrà mostrato saranno decisi a priori: quando si troverà un luogo, con naturalezza verrà proposto a un allievo o a un'allieva di abitarlo e di inserire in quel luogo il suo lavoro. Se un luogo parrà particolarmente propizio, si potrà decidere di stazionarvi più a lungo. Tra un estratto e l'altro si percorrerà la città in una sorta di meditazione camminata, ognuno e ognuna insieme agli altri ma difendendo la propria concentrazione e attenzione come ognuno e ognuna riterrà più utile, nello spirito di rigore individuale e lavoro di gruppo che ha ispirato il processo.

Il laboratorio è a numero chiuso (max 10 partecipanti).

Alle persone interessate chiediamo di scrivere una lettera di presentazione, motivazione, riflessione, proposta, con anche accenni al percorso svolto finora, entro il 15 maggio 2013 all'indirizzo strumentipuri@gmail.com

A tutti e tutte sarà inviata una scelta di libri e estratti di libri su cui verterà il lavoro.

Per le informazioni pratiche (costi, ospitalità ecc.) andate qui: http://www.acec.it/pls/acec/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=4287

Per informazioni su Alessandro Berti: alessandroberti.blogspot.it

ALTISSIMA POVERTA'

festa del teatro e della spiritualità

Monteforte (MO), luglio 2012

LABORATORI RESIDENZIALI

21-23 luglio 2012
IL SUONO, L'EMOZIONE, IL CORPO
workshop diretto da ilaria drago

Area del castello di Monteforte, Montese (MO)

Orari: 16-21; costo euro 90; possibilità di uso cucina e pernottamento in foresteria: euro 11 al giorno; numero chiuso, max 10 partecipanti; info e iscrizioni: info@ilariadrago.it

Il seminario verte sulla ricerca di tutte le risorse che possono essere tradotte in opera poetica e scenica: la percezione del proprio corpo nello spazio e del suo movimento; il lavoro sull’interiorità, attraverso esercizi che individuano gli ostacoli alla nostra creatività e alla nostra fiducia e portano in luce le potenzialità insite in ognuno/a; elementi di tecnica vocale, basati per lo più sul rilassamento e sulla ricerca delle proprie sonorità; elementi di scrittura scenica, in cui la verità interiore si fa parola da recitare. Parola e gesto diventeranno quindi un’unica forma di espressione volta a far risaltare le capacità, le caratteristiche e la creatività proprie di ognuno/a. I partecipanti dovranno munirsi di abiti comodi, carta e penna, una sciarpa di cotone (o un grande fazzoletto). È consigliato anche un materassino da ginnastica o una coperta.

20-24 luglio
IL SILENZIO DELL'ATTORE DI PAROLA
workshop diretto da alessandro berti

Area del Monte Terminale, Iola, Montese

Orari: 10-15, informazioni e iscrizioni: http://www.saledellacomunita.it/pls/acec/v3_s2ew_consultazione.mostra_pagina?id_pagina=2950

Il silenzio dell’attore di parola richiama l'origine silenziosa del parlare, il pavimento muto che lo sostiene e lo fa nascere. Il lavoro è un invito a non spingere le parole verso il pubblico, a non cercare ansiosamente tra le macerie della mente qualcosa da esprimere. Al contrario, si propone di lasciar transitare dentro di sé ogni cosa: l'aria prima di tutto, poi il canto, il movimento del corpo, infine, e in particolare, le parole. Lasciare che questa forza in transito s'irradi tutt'attorno. Uno strumento puro non si esprime: suona. È un'azione più semplice e forte. Un tronco cavo è suonato dal vento, un fiore è aperto dal sole. Allo stesso modo il corpo integrale dell'attore in attesa lascia che tutto lo attraversi e che in questo cammino si mostri qualcosa di nuovo, una nuova voce prenda corpo, un gesto inaspettato abbia luogo. Il lavoro si concentrerà sulla ricerca di una posizione perché questo accada, posizione interiore e fisica, sul corpo e la voce suonata e infine anche su brevi estratti di alcuni grandi testi che alludono, sul piano non estetico ma direttamente esistenziale, a questo nostro lavoro teatrale (Jean De Caussade, Etty Hillesum, Joseph Surin, George Bernanos, Simone Weil, il libro di Giobbe...). Nel corso della giornata di martedì 24 luglio, brevi estratti del lavoro svolto potranno, a discrezione degli allievi, essere mostrati al pubblico.

SCUOLA D'ESTATE, 3-25 LUGLIO 2009

Brevi note a conclusione del lavoro

Pochi allievi. Molto tempo. Uno spazio non teatrale. Le montagne, gli alberi e brandelli di vecchi edifici a scenario.
Nulla di seducente, una alta campagna di confine, sfruttata, costellata di stalle e caseifici. E qui, in un angolo, mettersi a fare il teatro, sotto un acero.
Con Adriana Ribotta ho lavorato su una poesia di Les Murray, grande poeta australiano. An absolutely ordinary rainbow è la storia di un'epifania: un uomo piange in un angolo di una piazza, in una città. Tutto qua: qualcosa di semplice e misterioso, come il modo che chi dice questa poesia dovrebbe avere nel ridarla al pubblico. Murray è poeta di terra, di campagna, è una voce piana, potente, che parla di uomini e scenari naturali, del loro rapporto che è sempre un rapporto tragico, critico, che mostra la necessità di un risveglio della coscienza, di una presa di responsabilità sul reale. Non è un poeta ecologico tuttavia, ma di un particolare umanesimo cristiano-naturale, di grande realismo e coscienza della profonda interconnessione tra le cose. Con Adriana il gioco era far passare tutto questo, senza aggiungere nulla, far scorrere il film di questa visione (un uomo piange a un incrocio, il traffico si ferma, le reazioni degli astanti ecc.) senza interpretarla. E però senza la freddezza di una descrizione. In mezzo tra questi due opposti, entrambi poveri, sta la presenza complice dell'interprete, calibrata al centro di sé, un sé scomparso, che è diventato spazio, vuoto, disponibile, cubatura volumetrica attraverso cui il testo rotola e si moltiplica di significati. Non secondaria parte del lavoro è stato affrontare il linguaggio poetico, sintetico e allusivo, economico, senza sbavature. Come può un lavoro tecnico sui fondamenti della poesia non solo non interferire con la profondità dell'approccio interpretativo ma rappresentare i cardini stessi della porta che si apre, la porta di un'interpretazione generosa, calibrata ma vibrante, viva?
Con Raffaella Tomellini ho lavorato invece a una interpretazione per così dire pura, l'incarnazione di un personaggio protagonista in prima persona di un racconto di Roberto Bolano, Joanna Silvestri. Si tratta di un lungo soliloquio ai confini tra autobiografia immaginaria, melodramma hollywoodiano e inchiesta poliziesca, cioè il pastiche geniale che ha imposto lo scrittore cileno come una delle voci più straordinarie della letteratura contemporanea.
Il personaggio è una giovane donna morente, nella sua camera in una clinica privata, che ripercorre la sola grande storia d'amore della sua vita.
La particolarità della trama è che Joanna è stata una famosa pornoattrice e il suo grande amore un altra star del porno, anche lui scomparso per la stessa malattia che si sta portando via la protagonista. Il rapporto interessante è tra il candore quasi ebete di Joanna e l'orrore del set dove hanno avuto luogo le sue esperienze di donna. Joanna ne è immune, legata solo all'essenza romantica, infantile e meló del suo innamoramento per Jack. Anche Jack, eroe maschile del racconto, si staglia come una figura superiore, stralunata e assente, capace di redimere con la propria energia marziana lo squallido sottomondo commerciale dove i due si incontrano. Le sfide per l'attrice: a) ridare la debolezza della malattia senza citarla né appoggiarvisi troppo ma usando lo stato di infermità come midollo espressivo b) Far fiorire il ricordo sentimentale con tutta la gratuita, potente convinzione di una bambina mai cresciuta e mai amata c) intercettare un'area già postuma da cui la morente parla, attingendo a una saggezza inquietante d) tradurre tecnicamente tutto questo in un flusso verbale ininterrotto e lieve e in una fisicità ormai dimentica di sé, forse volgare, sicuramente indifferente al pubblico.
Con Elena Valente ho lavorato a un mio testo, Confine. Il personaggio femminile è una giovane madre scampata a un tentativo di suicidio, e da questo tentativo mutata, alleggerita, miracolosamente santificata. La donna vive in una valle di montagna friulana, col marito e il figlio appena adolescente. Il suo isolamento di non natia è atroce e completo, si consuma nell'incomprensione e nella indifferenza di un'intera comunità. Le confessioni della donna sono posteriori all'accaduto e ne ricostruiscono non tanto le ragioni quanto proprio certi contorni quasi plastici, come brandelli preziosi di un complesso ricordo stratificato e temporalmente non lineare. L'incedere della parola è spezzato, direttamente collegato a un'interiorità lucida, perfino impietosa. E questa forza analitica sostiene anche le descrizioni più toccanti e realistiche del momento del gesto autolesionistico andato a vuoto. La sfida principale per l'attrice è proprio quella di dare voce a questa forza, una forza positiva e un'odierna, guadagnata stabilità da cui la protagonista si china di nuovo sul proprio instabile sé del passato per descriverlo con una precisione che è essa stessa una dimostrazione di forza. Il pavimento generale del personaggio ora è solido: solo così l'eroina può attingere alla propria profondità più tragica e ridare un'ampiezza non comune ma esemplare. I brandelli di testo su cui abbiamo lavorato sono due. Il primo è la cronaca in soggettiva dell'evento, un resoconto fluttuante ma di maniacale precisione. Il secondo è invece l'esordio alla nuova vita, la prima circostanza in cui, per il personaggio, il mondo si dà a conoscere come attraverso un'allentamento dei propri gangli costitutivi, facendo entrare la donna nella morte-in-vita dei mistici, e facendole abbandonare per sempre l'ipertrofico ego della psiche schiacciata sulle proprie vicende.
Con Giovanni La Rocca ho abbozzato un lavoro su Piotrus di Leo Lipski, lavoro interrotto troppo presto per poter individuare delle chiare linee di ricerca teatrale.
Una breve dimostrazione del lavoro di queste giornate è stato mostrato a un piccolo gruppo di spettatori nel pomeriggio del 25 luglio 2009, sulla spianata di Monteforte.

SCUOLA D'ESTATE

Cantiere teatrale diretto da Alessandro Berti

Monteforte (MO), Prati del Castello

3-5 e 21-25 luglio 2009

La Scuola d'Estate è un cantiere teatrale che si svolge durante i prossimi mesi a Monteforte, nell'Appennino tosco emiliano, in un borghetto a mille metri d'altezza. E' pensata come una serie di laboratori di approfondimento del lavoro teatrale, e in particolare di un teatro di parola, da svolgere in un luogo appartato e in condizioni di concentrazione privilegiate.

Il lavoro si concentrerà sul monologo, inteso come brandello di testo di qualsiasi genere purché in prima persona. La gran parte di lavoro sarà dunque individuale: un'ipotesi pratica di lavoro su sé stessi.
La proposta del testo su cui lavorare sarà a cura dell'allievo, che dovrà comunque concordarla con Alessandro Berti prima dell'inizio del lavoro, in un primo, importante, gradino di collaborazione e chiarificazione degli intenti.
La giornata di lavoro sarà di 6 ore circa e consisterà in momenti diversi, secondo le esigenze e i problemi che la pratica solleverà: lavoro individuale sul testo, lavoro comune sui testi di tutti, lavoro individuale con Alessandro Berti, conversazioni individuali e comuni.
La finalità principale della Scuola è quella di creare un momento di dilatazione e di silenzio, così da far nascere la parola da un vuoto, in piena presenza dell'interprete.

Ecco una presentazione delle caratteristiche poetiche del lavoro:

“L’immagine di riferimento è quella di un tronco cavo, fermo, attraversato dal flusso delle parole. 
Lo stato dell’interprete è un pavimento tranquillamente solido, il suo respiro regolare, lo sguardo vivo, il pensiero collegato con continuità ai pensieri che hanno partorito le parole dell’autore, e che ora fanno nascere quelle dell’interprete.
Si assiste al fluire del discorso, che prende vita secondo la progressione che soggiace al testo. Individuare i momenti in cui il testo ha uno scarto, un’evoluzione sarà il solo, fondamentale, lavoro di analisi a tavolino che l’interprete compie prima dell’inizio del lavoro teatrale vero e proprio.
Sono queste aree vuote del tessuto testuale che determinano una naturale evoluzione, fisica, psicologica, vocale dell’interpretazione. Ma queste venature non minacciano la solidità del pavimento interpretativo, le pareti del tronco cavo attraverso il quale le parole continuano a scorrere senza intoppi.
Una fisicità sostanziale, decontratta, che coinvolge tutto il corpo sosterrà il discorso facendo parlare il testo fino alle più sottili sfumature. I mezzi dell’attore paiono scomparsi, la tecnica si è fatta trasparente: ogni cosa può finalmente essere soltanto ciò che è.”


La proposta del testo su cui lavorare dovrà tener conto di queste indicazioni di poetica.
Il numero massimo di allievi per sessione è di 6 persone, così da permettere un lavoro approfondito e specifico.
Gli allievi possono partecipare liberamente a uno solo, a due o a tutti i momenti di lavoro.
La Scuola è aperta a chiunque abbia interesse per questo tipo di ricerca. Agli interessati viene chiesto di mandare una lettera di presentazione e motivazione a alessandroberti.mail@gmail.com.
Il costo dei laboratori di 3 giorni è di Euro 120.
Il costo del laboratorio di 5 giorni è di Euro 150.
In questa cifra è compreso anche l'alloggio in case del borgo antico con uso cucina. Il vitto è escluso. Il supermercato più vicino dista 7 km dal luogo di lavoro e alloggio.
La sera di sabato 25 luglio avrà luogo una dimostrazione pubblica del lavoro svolto, VOCI DAL SILENZIO, a cui parteciperà la popolazione locale e un piccolo numero di invitati.

Informazioni e iscrizioni:
Casavuota: tel. 0593970732 - 3384285847
alessandroberti.mail@gmail.com

Monteforte

Difficile spiegare a chi non lo conosce l'energia che ci si respira. Prima di tutto un'energia contadina, siamo in montagna ma ancora si coltivano campi, ci sono stalle e fienili, la costa dei monti guarda a occidente, e il sole scalda a lungo i campi, ancora fertili nonostante gli inverni nevosi. Però siamo a mille metri, l'aria è fresca, davanti a noi ci sono le vette del Cimone e del Corno, tutte e due attorno ai duemila metri, oggi che scrivo ancora un po' innevate.
Monteforte era un castello inespugnabile, talmente inespugnabile che gli ultimi dominatori, gli Estensi, lo distrussero dopo che era diventato un covo di briganti, come in un antico romanzo cinese. Oggi è un piccolo prato, con un oratorio, qualche rudere e un'antenna della Rai, che permette agli abitanti dell'alta valle del Panaro di vedere i giochi a quiz dell'ora di cena. Ma il borgo resta dietro di qualche centinaio di metri a tutto questo, e così da qui la Rai non si vede e siamo immuni da elettromagnetismo e stupidate catodiche. Il borgo sono quattro case, due pollai, qualche rimessa per attrezzi scavapatate (la patata è la ricchezza contadina della zona, in una variante dal sapore delicato, quasi di castagna), e da qui partono sentieri tra i faggi e i castagni che si inoltrano verso sud-ovest, dove la montagna sale ancora, tra mulini abbandonati e madonnine incastrate nelle rocce. A Monteforte ho scritto Pietra,pianta, il mio ultimo lavoro (per chi fosse interessato a leggerlo: http://alessandroberti.blogspot.com), l'estate scorsa. E' la storia di un personaggio un po' beckettiano e un po' buddhista che si rifugia quassù come una specie di monaco senza rotta né religione, ascolta i rumori e studia la forma delle nuvole, sperimentando il proprio ozio come simile alla condizione vegetale e fossile. Monteforte è un luogo di confine, non è (più) un eremo solitario ma si inserisce in un crinale, storico (da qui passavano le trincee della linea gotica nell'ultima guerra), geografico (è l'ultimo avamposto agricolo prima delle faggete e delle vette appenniniche) e culturale (convivono autoctoni contadini e cittadini da weekend al fresco), cioè un luogo con molte e nessuna identità, ideale alla concentrazione su qualcosa di concreto.
Monteforte mi ha insegnato la lentezza, la dilatazione temporale, la pazienza. Tutti privilegi, forse l'idea moderna della ricchezza. Monteforte è un luogo ideale dove ricaricarsi, o svuotarsi, dove il ritmo collettivo cede ed emergono più naturali possibilità. Questo vale anche per il lavoro teatrale, che non può fare altro che seguire i ritmi della natura, il giro dell'ombra tra gli aceri del prato dove si lavora, il caldo e il vento, le scrosciate di pioggia e le bonacce. Il sole però, quando picchia picchia forte, è il sole dei mille metri. E la notte la coperta è consigliata.

DIARIO DI UN EDUCATORE DI CONFINE

Un anno di insegnamento teatrale nel basso Piemonte

di Alessandro Berti

Per un'intera stagione teatrale, da ottobre 2007 a maggio 2008, ho insegnato a Savigliano (CN) e Racconigi (TO), alla Scuola di Teatro Milanollo.
Un fine settimana ogni mese prendevo il treno da Roma e venivo catapultato in una realtà del tutto diversa.
Il gruppo di allievi era molto affiatato, rappresentava una scrematura naturale di un più folto gruppo che per due anni, per due o più volte alla settimana, si era ritrovato a praticare l'arte del teatro con spirito genuinamente collaborativo e entusiasta. Non conoscevo quel territorio. Né il progetto in questione.
Ma il primo scambio di lettere con la curatrice e deus ex machina della scuola, Grazia Isoardi, mi convinse ad accettare la proposta.
E' piacevolmente sorprendente accorgersi come certi inaspettati angoli della provincia più periferica di questo disastrato paese nascondano entusiasmi infuocati e ammirevole serietà di impegno. Per me che in quei mesi lavoravo all'interno dell'ambiente teatrale romano (con la sua sciatteria e le sue dolcezze, i suoi inconfessabili, oziosi privilegi...), questa esperienza è stata per molti versi profondamente istruttiva.
Il territorio tra Torino e Cuneo mi parve subito un luogo di forte, oscuro disagio sociale. Già l'arrivo in stazioncine anonime, cadenti, lungo la linea Torino-Savona, su treni sferraglianti, zeppi e sempre in ritardo, in un'atmosfera cechoviana di polvere e tramonti sulla pianura, prometteva bene. Poi le città stesse: bella e più chiara Savigliano, inquietantemente dispersa e misteriosa Racconigi, stretta tra il Palazzo Reale e l'Ospedale Psichiatrico, schiacciata da due opposti e speculari simboli del potere.
E proprio a Racconigi ebbero luogo molte lezioni, in una piccola, calda saletta trai padiglioni abbandonati del manicomio. Avevo scelto di lavorare su Leonce e Lena di Georg Buchner, da me tradotto e usato spesso in ambito pedagogico. L'ultima volta che l'avevo messo alla prova, per dir così, era stato proprio dentro un altro Ospedale Psichiatrico, quello di Sant'Osvaldo, a Udine, altra regione prealpina, là dove le persone più facilmente impazziscono, come dice Thomas Bernhard. In quella occasione la coppia Leonce-Valerio era impersonata da due geniali, azzimati utenti dei servizi di salute mentale, entrambi diagnosticati di schizofrenia, entrambi ex attori, entrambi perfettamente in parte. Ma qui mi accorsi presto che mi trovavo davanti a questioni del tutto diverse. Il gruppo non presentava affatto ecclatanti disforie o patologie nervose, eppure un certo disagio serpeggiava. Ma si trattava di un disagio contemporaneo, ansioso o depressivo, con nessuna venatura di follia in senso eroico, schizoide. D'altra parte questa è la storia delle espressioni diverse con cui, attraverso i secoli, si esprime il nostro disagio, e dei diversi nomi con cui poveramente prova a esser definito: isteria, schizofrenia, esaurimento nervoso, depressione, panico...
E che oggi, in un'epoca di follia pervasiva e generale (Basaglia lo intuì presto) il disagio prenda forme fluide, spurie, apparentemente normali, cioè diminuisca di potenza verticale e aumenti di diffusione orizzontale, è sotto gli occhi di tutti. Anche le caratteristiche e le finalità del progetto teatrale nel quale ero chiamato a collaborare testimoniavano di una coscienza e di un'intelligenza notevole dei curatori attorno a queste questioni: il gruppo era davvero vario, il teatro il suo unico collante, e il disagio che traspariva era, tout court, il disagio di vivere, in quei luoghi e in quel tempo, per tutti, indipendentemente dalle più o meno felici biografie individuali pregresse. Una grande saggezza libertaria stava sotto tutto questo ma non era facile capire come trasformarla in un'esperienza forte. Si trattava, con pazienza, di scavare.
E sono stati mesi di scavo, e, credo, di crescita reciproca per me e per il gruppo. Dopo due lezioni alcuni allievi che avevano frainteso quello che avrei fatto, e che probabilmente si aspettavano qualcosa di più lieve e giocoso, di meno specifico e intransigente, decisero di abbandonare l'impresa. Il lavoro con gli altri migliorò subito sensibilmente. Eppure non ingranava ancora come avevo sperato: tutto piuttosto faticoso. Perché? Ero un po' perplesso, tenevo molto alla riuscita del progetto, Grazia pagava bene la mia presenza lì e mi ospitava con naturalezza nella sua bella casa di Savigliano, dove suo marito Ugo e le loro figlie mi accoglievano con simpatia e calore.
Uno dei motivi della fatica era determinato dal rapporto che la maggior parte di allievi aveva con un testo classico, un rapporto scolastico, di inferiorità, che si risolveva in una sostanziale incomprensione dello spirito dell'opera. Un altro motivo per molti era una precedente, invasiva, cattiva educazione teatrale, che inficiava certi tentativi anche onesti. Non a caso il primo risultato davvero notevole con quel materiale lo ottenne la persona apparentemente più svantaggiata e di certo più digiuna di teatro: un allievo con un problema di balbuzie, che invece imbroccò alla perfezione lo spirito e la lettera di Lena, dando una splendida lezione di recitazione e dizione agli allibiti (e forse un po' commossi) compagni. Un altro ostacolo era rappresentato dai luoghi. I luoghi dove lavoravamo (la saletta di Racconigi e, quando questa non era disponibile, la colorata sala di una ludoteca alla periferia di Savigliano) dovevano essere per gli allievi luoghi del tutto abituali, dove molte cose erano e sarebbero successe. Questa intimità non giovava al lavoro.
Ma un fine settimana capitò che entrambi i luoghi erano, per qualche motivo, indisponibili e così finimmo nel piccolo soggiorno senza mobili della casa di una allieva. Qui il lavoro ebbe una svolta inaspettata. Su quello scabro pavimento di piastrelle, in un'anonimo, piccolo appartamento di un condominio di Carmagnola (altra struggente cittadina del circondario), con le finestre che davano su un cortile interno degno di Milano2, con le siepi di lauro e i vialetti in ghiaia, in quel soggiorno in cui per entrare nell'area deputata a palco si doveva passare dal bagno e in cui chi in quel momento non lavorava osservava le scene degli altri seduto su un divano spinto contro la porta a finestra del terrazzino, in quel set assurdamente contemporaneo, i ragazzi trovarono finalmente la chiave per entrare, oggi, dentro un testo come Leonce e Lena. Comparvero nelle interpretazioni certi tremiti di forza extraquotidiana, che parevano da crisi di astinenza, e che producevano, a contatto con la lingua ottocentesca di Buchner, scintille favolose. Oppure amnesie e confusioni stupende, dovute forse allo straniamento di trovarsi in un soggiorno di una periferia italiana nel 2008, di sabato pomeriggio a recitare un dramma che vede protagonisti una principessa e un principe di due regni immaginari, scritto da un neurologo-rivoluzionario-poeta due secoli prima come un'opera di fantascienza...I corpi si risvegliarono, ridemmo e piangemmo come mai prima, apparve il teatro nella sua vitalità favolosa e intrattabile, insomma pareva ci fossimo finalmente incamminati verso qualcosa.
Ma non durò. Già dall'incontro successivo, ritornati nei luoghi abituali, tutto tornò soporifero.
Le mie ire colpivano soprattutto certi momenti di pigrizia e stupidità degli allievi, capaci di ottenere qualcosa di buono e però subito di accontentarsi, e perdere tutto quanto ottenuto per un ammicamento a un compagno, una risata, una stanchezza momentanea. Era questo il punto debole del gruppo. Prima ho detto che non c'era 'follia eroica' negli allievi, non c'erano problemi di disagio ecclatanti. Non è propriamente vero. In alcuni di loro questa scintilla esorbitante c'era. Ma non riusciva a trovare il proprio luogo d'espressione, come se la maggioranza del gruppo premesse su certe individualità minoritarie e le schiacciasse. Non so se per paura, se per fiducia in un livellamento al centro dalla funzione stabilizzante, a cui tutti tendevano (la maggioranza femminile del gruppo faceva sì che si respirasse una morbida atmosfera materna) o perché, semplicemente, da che mondo è mondo, in ogni gruppo succede esattamente questo, fatto sta che, per la mia disperazione, l'inerzia e l'entropia parevano invincibili.
Così decisi, a metà percorso, di cambiare tutto.
Bisognava risvegliare la responsabilità individuale, scardinare l'idea di coro, di gruppo che si sostiene e addormenta, fare sentire l'ebbrezza e la paura della libertà. Rinunciai a Leonce e Lena e chiesi a ognuno di propormi un testo su cui avrebbe lavorato. Già questo fu molto interessante. Il testo. La difficoltà di trovare testi vivi per il teatro. Si avviò una corrispondenza tra me e i ragazzi. Mi mandarono testi, alcuni li scartai, altri andavano bene. Beckett, Marai, una giovane narratrice americana, Lorca, Valentin, e due scene di Leonce e Lena furono i nuovi copioni. Introdussi anche un lavoro fisico, che giovò.
Così una ventata di vita percorse il lavoro e lo cambiò. Ci furono sorprese ecclatanti. In particolare mi piace ricordare un allievo che fino a quel punto era stato in grande difficoltà, e che invece trovò nel nuovo testo un notevole banco di prova. Si trattava di una persona con un gusto teatrale comico. Oggi, il comico in teatro (in Italia) non ha testi notevoli su cui misurarsi, si deve accontentare di Lella Costa. Così gli proposi Karl Valentin e lavorammo su un frammento di Tingeltangel come su una partitura fisica rallentatissima, concentrandoci sul contrasto tra corpo che cede lentamente e parole che escono a raffica da quel corpo decontratto. Il processo e il risultato furono ottimi. Oppure ancora l'allievo con problemi di balbuzie (ma con un ottimo istinto scenico) affrontò un frammento di Beckett da sdraiato, in un cantilenante dormiveglia senza nemmeno un'incespicata, una voce fluida che pareva venire da profondità extraumane...O la coppia che continuò con Buchner, coi quali lavorai al mantenimento di una tensione a distanza, che permise l'affiorare di una fisicità molto interessante e allusiva...
L'esito finale (qui al lato alcune immagini) fu un montaggio, fatto in qualche giorno, del mio lavoro teatrale e del lavoro svolto parallelamente da Michela Lucenti e i suoi collaboratori. Io sono poco sensibile alla necessità di una dimostrazione finale ad ogni costo, ma a quanto pare in certe situazioni non ci si può sottrarre, ed è giusto così, se il mostrare al pubblico qualcosa dà la possibilità al progetto di essere visibile e di continuare a esser sostenuto dalle istituzioni e dalla città. Ma quell'accelerazione finalizzata allo spettacolo non ebbe nulla a che fare con le multiformi e illuminanti dinamiche sollevate dal processo di quei mesi precedenti, di cui come ho potuto ho accennato in questa piccola testimonianza.

IL CANTO DEL MAESTRO ASTAVAKRA, un laboratorio




laboratorio verso un teatro essenziale
diretto da alessandro berti

Sto lavorando da qualche tempo sull'Astavakra Samhita, un testo indiano del V secolo a.c, un'opera di filosofia advaita (non-duale) che coniuga mirabilmente chiarezza speculativa e bellezza poetica. E' un dialogo tra un maestro (Astavakra) e un allievo (Janaka) attorno all'intuizione del Sé, la sostanza eterna e unica da cui emana (e di cui è fatto) l'universo.
Perché ho deciso di lavorare su questo testo? Io sono un regista occidentale, il cui canone teatrale è occidentale, cioè in sostanza shakespeariano e stanislavskjiano. Ma per motivi legati allo sviluppo della mia persona, negli ultimi anni a queste matrici culturali si sono affiancate altre fonti. Fonti sempre più spesso non teatrali.
E in questo viaggio, in cui sono passato da un lavoro su prodotti a un cammino lungo percorsi, ho incontrato parole che nascevano da luoghi anche molto lontani dalle mie origini culturali. Le parole della Samhita sono uno di questi incontri.
Lavorare sull'Astavakra Samhita significa porsi di fronte a un testo che ha un valore esistenziale prima che culturale. Una volta che si è accettato di stare all'altezza di queste parole, aprendosi all'intuizione del loro significato e lasciando che esse parlino alla nostra parte più intima, potrà accadere che anche il modo in cui il nostro corpo e la nostra voce reagiscono sia già qualcosa d'altro rispetto alle nostre abitudini teatrali. Non penso a qualcosa di straordinario, di spettacolare, ma di semplice e di vero, qualcosa di disarmato. Questo è il primo, essenziale passo.
Dopo il quale si sgranerà un lento lavoro progressivo, fisico, vocale e verbale, finalizzato a non perdere quella freschezza d'esordio del pensiero e dello sguardo, quella attitudine intuitiva e quella presenza che altro non sono se non la capacità di lasciar scorrere qualcosa attraverso di sé, svuotando il gesto e la parola di retorica e intenzionalità.
E se questo lavoro a togliere e a svuotare avrà funzionato e saremo stati fedeli allo spirito della Samhita, assieme a una diversa luce sotto cui guardare al lavoro del performer, potrà anche mostrarsi in tutta la sua scala la distanza tra la nostra piccola biografia e l'Infinito del Sé, una distanza talmente enorme da annullarsi proprio nell'attimo in cui la percepiamo, trasformandosi in quell'intuizione di Unità di tutte le cose di cui la Samhita continuamente parla.”


Alessandro Berti

Astavakra Samhita 


a cura di Nani Mai e Sergio Trippodo, Ubaldini, Roma, 2003

Ecco il testo dei primi due capitoli dell'Astavakra Samhita. Su questo materiale abbiamo lavorato tra Torino, Bologna, Trieste e Ivrea da gennaio a settembre 2007. Una presentazione pubblica del lavoro di questi mesi, seguita da un incontro con il prof. Alberto Pelissero, ordinario di letteratura sanscrita all'università di Torino, ha avuto luogo a Chiaverano, Ivrea, presso la chiesa di Santo Stefano, a metà settembre 2007, nell'ambito del prologo di Torino Spiritualità.

Capitolo IInsegnamenti per la realizzazione

Janaka disse:

1. Come si acquisisce la conoscenza?
Come si arriva alla liberazione?
Com'è possibile il distacco?

Astavakra rispose:

2. Se aspiri alla liberazione, figlio mio
Rifuggi dagli oggetti dei sensi come fossero veleno
Cerca il perdono, la sincerità, la compassione
L'appagamento e la verità come fossero nettare

3. Tu non sei né la terra né l'acqua
Né il fuoco né l'aria né l'etere
Per essere libero
Conosci il Sé come testimone di tutti questi elementi
E come Coscienza stessa

4. Se non credi di essere il corpo
E riposi nella Coscienza
Sei immediatamente felice
Pacifico e libero da ogni schiavitù

5. Tu non appartieni a nessuna casta
Tu non sei percepibile dai sensi
Sei il testimone di tutto
Senza forma e attaccamento, sii felice

6. Virtù e vizio, piacere e dolore
Appartengono alla mente e non a Te, oh Onnipresente!
Non sei tu ad agire e a fruire dell'azione
In verità sei sempre libero

7. Tu sei sempre l'unico osservatore di tutto
Saresti del tutto libero, non fosse per la tua sola schiavitù
Quella di non vederti come l'osservatore
Ma come qualcos'altro

8. Tu che sei stato morso
Dal grande serpente nero dell'egoismo
Che ti fa pensare Sono io ad agire
Bevi il nettare della fede nell'Io non sono quello che agisce
E sii felice

9. Incendia la foresta dell'ignoranza
Con il fuoco della convinzione
Io sono l'Uno, la Pura Coscienza
Liberati così dal dolore e sii felice

10. Tu sei quella Coscienza
Tu sei la Beatitudine, Suprema Beatitudine
Dentro e attorno alla quale appare l'universo
Che le si sovrappone come il serpente alla corda

11. Chi si considera libero è libero
Chi si considera schiavo è schiavo
'Come si pensa così si diventa'
E' un detto popolare che specchia la verità

12. Il Sé è la Coscienza
Priva di attaccamento, vuota di azioni e desideri
Pacifica
E' il testimone, onnipresente, completo
Unico, libero
Anche se a causa dell'illusione
Esso può sembrare prigioniero del mondo

13. Essendoti liberato dalle modificazioni
Interne e esterne, come pure dall'illusione
Che ti faceva dire Io sono il riflesso dell'io individuale
Ora rifletti sul Sé
E riconoscilo come immutabile, non duale, Coscienza

14. Figlio mio
Sei rimasto a lungo intrappolato nel cappio Io sono il corpo
Recidilo con la spada della conoscenza Io sono la Coscienza
E sii felice

15. Tu splendi della tua stessa luce
Non hai legami, sei senza macchia
Non sei condizionato dalle azioni
In realtà la tua unica schiavitù
E' che pratichi la meditazione

16. Tu permei l'universo
E l'universo è contenuto in te
In realtà tu sei la Pura Coscienza
Per tua stessa natura
Non sminuirti considerandoti da meno

17. Sei incondizionato, immutabile
Senza forma né sostanza
Tranquillo e di insondabile intelligenza
Imperturbabile
Desidera soltanto la Coscienza

18. Ciò che ha forma non è reale
Soltanto il senza forma è permanente
Grazie a questo insegnamento sulla verità
Non ci sarà possibilità di rinascita

19. Il Sé è presente fuori e dentro il corpo
Come lo specchio
Esiste fuori e dentro l'immagine riflessa

20. Come lo spazio che pervade tutto
E' fuori e dentro la giara
Così il Sé eterno e onnipresente
Esiste in ogni cosa


Capitolo IILa gioia della realizzazione

Janaka disse:

1. Oh
Sono immacolato, pacifico
Sono la Pura Intelligenza al di là della natura
Per tutto questo tempo sono stato ingannato dall'illusione

2. Siccome Io solo rivelo il corpo
Allo stesso modo rivelo il mondo.
Quindi il mondo intero è mio
Anche se in realtà niente è mio

3. Oh
Avendo abbandonato l'illusorietà
Del corpo e dell'universo
Soltanto adesso posso vedere il Sé

4. Come le onde, la schiuma e le bolle
Non sono diverse dall'acqua
Così l'universo che emana dal Sé
Non è diverso da Esso

5. Come dopo averlo analizzato
Si scopre che il tessuto non è altro
Che un insieme di fili
Così l'universo non è altro che il Sé

6. Come lo zucchero
Ottenuto dalla canna da zucchero è del tutto
Permeato dal succo di canna
Così l'universo prodotto in Me
E' totalmente permeato da Me

7. Il mondo appare quando si ignora il Sé
E scompare quando si conosce il Sé
Così come il serpente appare
Quando non si riconosce che è una corda
E scompare quando si vede la corda

8. La luce è la mia vera natura
Io non sono altro che luce
Quando l'universo si rivela
In realtà solo Io risplendo

9. Oh
L'universo appare in Me
Immaginato dall'ignoranza
Come l'argento appare nella madreperla
Il serpente nella corda
L'acqua nel miraggio

10. Come una brocca si dissolve nell'argilla
L'onda nell'acqua o un bracciale nell'oro
Così l'universo che emana da Me
In Me si dissolve

11. Meraviglioso sono Io!
Dal dio Brahman alla zolla d'erba
Adorate Me
Che esisto anche dopo la distruzione del mondo

12. Meraviglioso sono Io!
Adorate Me
Che sono l'Uno pur avendo un corpo
Io esisto e permeo l'universo
Anche se non vado in nessun luogo
E non provengo da nessun luogo

13. Meraviglioso sono Io!
Adorate Me!
Nessuno è più capace di Me
Che sostengo l'universo per l'eternità
Senza toccarlo col corpo

14. Meraviglioso sono Io!
Adorate Me che ho tutto e niente
Di ciò che può essere pensato o detto

15. La triade di conoscenza, conosciuto e conoscitore
In realtà non esiste
Io sono il Sé immacolato
Nel quale la triade appare a causa dell'ignoranza

16. Oh
La dualità è la radice della sofferenza
L'unico rimedio è realizzare
Che tutti gli oggetti percepibili non sono reali
E che Io sono la Purezza, l'Uno
L'Essenza e la Coscienza assoluta

17. Io sono la Pura Coscienza
A causa dell'ignoranza
Ho immaginato le sovrapposizioni su di Me
Riflettendo costantemente in questo modo
Dimoro nel mio stato indifferenziato

18. Non conosco schiavitù né liberazione
Avendo perso il suo sostegno l'illusione è cessata
L'universo, pur esistendo in Me
In realtà non esiste

19. Il corpo e l'universo non sono niente
Il Sé non è altro che Pura Coscienza
Sapendo questo per certo
Adesso su cosa può fondarsi l'immaginazione?

20. Il corpo, il mondo celeste e quello inferiore
La schiavitù e la libertà, come pure la paura
Non sono altro che immaginazioni
Cosa dovrei farci Io, che sono Pura Coscienza?

21. Non vedo più alcuna dualità
Persino la moltitudine degli esseri umani
E' diventata una landa desolata
Per cosa dovrei quindi provare attaccamento?

22. Io non sono il corpo e non lo posseggo
Non sono ciò che vive ma la Pura Coscienza
Questa in realtà era la mia schiavitù:
Ero assetato di vita

23. Su di Me
Che sono come un oceano infinito
Si alza il vento della mente
Che produce le varie onde dei molteplici mondi

24. Quando il vento della mente si placa
Nell'oceano infinito del Sé
Sfortunatamente
Per quel commerciante che è l'essere vivente
L'arca del mondo manifesto si distrugge

25. Che meraviglia!
Le onde degli esseri viventi
A seconda della loro natura
Si alzano, si scontrano, giocano
E infine rientrano
Nell'oceano infinito del Sé.